La Corte d’appello di Venezia: è il lavoratore a dover provare la “nocività” dell’ambiente di lavoro e il nesso causale

La Corte d’appello di Venezia: è il lavoratore a dover provare la “nocività” dell’ambiente di lavoro e il nesso causale
27 Novembre 2018: La Corte d’appello di Venezia: è il lavoratore a dover provare la “nocività” dell’ambiente di lavoro e il nesso causale 27 Novembre 2018

Le cause del nostro studio

Con la sentenza n. 436/2018 la Sezione lavoro della Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello proposto da un datore di lavoro che aveva censurato la sentenza di primo grado per aver accolto la domanda di un lavoratore, ricostruendo in modo inesatto le circostanze in cui era avvenuto l’infortunio ed avendo erroneamente ritenuto, in conseguenza, la “nocività” dell’ambiente lavorativo, con conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c..

La Corte veneta richiama anzitutto la consolidata giurisprudenza della Cassazione per cui “ai fini dell'accertamento della responsabilità del datore di lavoro per un infortunio sul luogo di lavoro, incombe sul lavoratore l'onere di provare di aver subito un danno, la nocività dell'ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, mentre grava sul datore di lavoro l'onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad …” (Cass.civ. Sez. L, Sentenza n. 2209 del 04/02/2016 - Rv. 638608-01)”.

Nel caso concreto, il Giudice del lavoro aveva affermato che la ricorrente (“operatrice addetta all’assistenza” presso una casa di cura) fosse intenta a “movimentare” un’anziana non autosufficiente che era intenta ad un’”operazione di igiene personale”, mentre tal genere di attività avrebbe dovuto essere eseguita da due lavoratori, operanti “in coppia”, in relazione a quanto specificamente previsto per la “movimentazione manuale dei carichi” dal “documento di valutazione dei rischi”.

Il Giudice d’appello, però, riesaminate le risultanze di causa, obietta che “nel caso di specie non era in corso alcuna operazione di sollevamento della degente per cui nessun problema di corretto intervento mediante l'eventuale presenza di due operatori si poneva in quel frangente. Nè era richiesta la presenza di due operatori per i compiti di mera vigilanza, come quello in quel momento svolto” dalla lavoratrice.

Costei, invero, non stava affatto “movimentando” l’anziana, ma stava semplicemente sorvegliandola mentre faceva il bagno. Avendo avvertito un movimento di costei che avrebbe richiesto il suo intervento, la lavoratrice stessa “ha compiuto un movimento del tutto subitaneo nel voltarsi… e ha perso l'equilibrio, cadendo”.

Conclude, quindi, la Corte d’appello che “tale movimento compiuto in modo del tutto autonomo dall'appellata” non poteva certo “essere imputato ad una condizione ambientale sfavorevole il cui controllo dove[sse] essere assicurato dal datore di lavoro

Mancava, quindi, la prova “circa la nocività dell’ambiente lavorativo che assicura sotto il profilo causale una relazione tra incidente e violazione di norma prevenzionale”.

Di qui l’accoglimento dell’appello ed il rigetto della domanda del lavoratore.

Sul fatto che competa al lavoratore l’onere di provare la nocività dell’ambiente di lavoro la giurisprudenza è costante (oltra a quella citata, si vedano, fra le più recenti: Cass. civ. nn. 3989/2015, 12562/2014, 10425/2014).

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